A cura di Luigi Olita
Sembra profilarsi all'orizzonte la firma del trattato tra Italia e Francia, nato sotto il governo di Paolo Gentiloni nel 2017. Stiamo parlando del trattato del Quirinale, che vedrà una cooperazione bilaterale rafforzata in campo militare, di cyber security, trasporti, cultura, transizione energetica e gestione dell'immigrazione tra Italia e Francia. Le basi vennero poste sotto la presidenza di Gentiloni e la breve pausa tra il 2018 ed il 2019 che vide in auge il primo governo Conte con la Lega ed il Movimento Cinque Stelle come forti oppositori delle mire egemoniche europee di Macron destarono preoccupazione nella conclusione del trattato. Il governo Conte II tranquillizzò le relazioni tra Italia e Francia, anche grazie alla completa istituzionalizzazione dell'ex leader dei Cinque Stelle Di Maio ed attuale capo della diplomazia italiana, il quale si mostrò, dopo un breve periodo di accondiscendenza verso i gilet gialli, come primo interlocutore dell'Eliseo.
Con il nuovo governo di Mario Draghi il trattato del Quirinale diventerà realtà. Infatti il 25 novembre Emmanuel Macron sarà a Roma per concretizzare l'accordo tra Roma e Parigi. Un accordo che va ben al di là della cooperazione bilaterale, poiché ad essere coinvolti non saranno soltanto i due attori principali ma anche le potenze dell'anglosfera e Washington. Non è un mistero che Macron punti a diventare il comandante indiscusso dell'esercito europeo paventato nelle sedi istituzionali di Bruxelles, soprattutto dopo i suoi forti dissapori con la NATO e con lo scacco giocato da Londra, Canberra e Washington sulla questione dei sottomarini nucleari e dell'AUKUS. Una più stretta cooperazione tra Roma e Parigi va a coalizzare due nazioni che in politica estera hanno avuto in questi anni delle enormi divergenze, dalla partita libica e mediterranea, alla produzione e vendita di armamenti. Una posizione, quella italiana, in questi scenari che Parigi non ha mai tollerato e che ha faticato a stare sul pezzo per raggiungere Roma.
I bastoni tra le ruote da parte di Parigi verso l'Italia non sono stati pochi, ma con un leader come Mario Draghi, dotato di forte influenza internazionale, il capo dell'Eliseo ha deciso di mantenere un profilo basso. Questo perché nonostante le ambizioni egemoniche europee e mediterranee, e le elezioni del 2022, Macron si trova davanti una personalità come quella di Draghi che incarna a pieno il potere politico e finanziario europeo, difficile da controllare, se non in base a compromessi. Il decisionismo draghiano è un problema per Parigi, che ha preferito concretizzare diplomaticamente l'accordo con Roma per poi concentrarsi per la riconferma (tutta in salita) all'Eliseo. Parliamo di due leader decisionisti, l'uno ascoltato in religioso silenzio ai tavoli europei come affermato dal presidente del Consiglio spagnolo Sanchez, l'altro con una buona dose di coraggio da mettere in discussione l'Alleanza Atlantica e porsi a capo di una desiderata macchina militare Europea. Ma Macron, seppur decisionista, sa bene che in Europa, anche grazie alla benedizione della Merkel, l'orologio si ferma quando arriva l'ex allievo di Federico Caffè.