LA POLVERIERA UCRAINA METTE IN ALLARME ANCHE ORBAN

A cura di Luigi Olita 

Dopo la visita del presidente della Repubblica islamica dell'Iran, Raisi, a Mosca, il presidente russo Vladimir Putin ha incontrato pochi giorni fa anche il primo ministro ungherese Viktor Orban. Settimane importanti per il Capo del Cremlino, il quale viene ricercato da numerosi leader mondiali sia per il dossier Ucraina, sia per la sua influenza politica come perno delle relazioni internazionali. Viktor Orban, infatti, è solo uno dei numerosi politici che incontreranno Putin questo periodo, poiché il presidente russo incontrerà in questi giorni il suo omologo cinese Xi Jinping in occasione delle Olimpiadi invernali di Pechino.

La visita del primo ministro ungherese a Mosca ha destato irritazione all'interno dell'UE che ha criticato Orban per la sua presa di posizione pro Cremlino con l'obiettivo di ammorbidire la diatriba ucraina che secondo fonti euro atlantiche potrebbe scoppiare da un momento all'altro. Anche la Polonia, stretta alleata di Budapest, ha criticato la visita di Orban a Mosca. L'incontro tra Putin ed Orban è stato caratterizzato non solo da rassicurazioni da parte del Cremlino riguardo le forniture di gas dal colosso Gazprom a Budapest, ma soprattutto dal dossier Ucraina. Infatti, Orban, pur attirandosi numerose critiche da parte della maggior parte della destra europea per la sua attività diplomatica da "cane sciolto", lo ha fatto anche in virtù di essere stato uno dei primi acquirenti del vaccino Sputnik russo. 

Dunque un legame tra Budapest e Mosca stretto nell'ultimo anno anche grazie alla diplomazia vaccinale messa in campo da Putin, e che ha permesso al primo ministro ungherese di accreditarsi come leader politico di fiducia nei confronti di Putin. Si potrebbe parlare di una vera e propria diplomazia parallela messa in piedi da Orban anche per scongiurare una guerra, ventilata da più parti negli ambienti militari Nato che puntano continuamente il dito verso la Russia per una imminente invasione dell'Ucraina, smentita ovviamente dal Cremlino, sia per avere in Putin un possibile scudo verso le prese di posizione europee ed Atlantiche liberal con la nuova presidenza Biden, che hanno osteggiato con ancora più vigore le politiche conservatrici del primo ministro ungherese. Orban per infondere ancora più fiducia in Mosca, durante i colloqui ha fatto trapelare la sua contrarietà verso una possibile entrata dell'Ucraina all'interno dell'Alleanza Atlantica e soprattutto la sua opposizione alla partecipazione dell'Ucraina alla difesa informatica della NATO. Una presa di posizione che sarà oggetto di polemiche sia a Bruxelles che a Washington, ma che contraddistingue ancora una volta la politica estera da vera mina vagante della piccola Ungheria.

LA POLVERIERA UCRAINA METTE IN ALLARME ANCHE ORBAN

KAZAKISTAN IN FIAMME

A cura di Luigi Olita

L'inizio del nuovo anno è stato contrassegnato da notizie di scontri provenienti dal Kazakistan. È il terzo anno consecutivo che si apre con una notizia estremamente rilevante per il panorama mondiale, contando l'assassinio del generale iraniano Qassem Soleymani e l'assalto al Campidoglio americano di un anno fa. Le proteste che si stanno verificando in questi giorni in Kazakistan, iniziate tra il 2 ed il 3 gennaio, hanno visto la popolazione inizialmente prendersela contro l'aumento del prezzo del gpl, ma il malcontento si annida all'interno delle periferie in cui si cela un forte disagio. Dapprima le proteste, viste come un'opposizione al governo kazako, hanno assunto la piega di un vero e proprio colpo di stato; infatti ad unirsi ad i manifestanti ci sono stati anche numerosi membri della polizia e dell'esercito, andando in qualche modo a coordinare i disordini. Sorge spontaneo pensare che questi avvenimenti, così come affermato dal presidente Tokayev, siano stati fomentati e organizzati grazie all'intervento di potenze estere con l'obiettivo di allontanare il Kazakistan dalla sfera di influenza russa. 

Mosca ovviamente non ha fatto attendere la sua risposta, poiché il governo kazako ha espressamente richiesto l'intervento di Mosca e del CSTO, di cui è membro, cioè il trattato dell'organizzazione di sicurezza collettiva, composto non solo da Mosca ma anche da Bielorussia, Armenia, Tagikistan, Kirghizistan. L'articolo chiave 4 del Trattato afferma: “Se uno degli Stati Parte è soggetto ad aggressione da parte di qualsiasi stato o gruppo di stati, allora questa sarà considerata un'aggressione contro tutti gli Stati parte del presente Trattato. In caso di atto di aggressione contro uno qualsiasi degli Stati partecipanti, tutti gli altri Stati partecipanti gli forniranno l'assistenza necessaria, anche militare, e forniranno anche il supporto a loro disposizione nell'esercizio del diritto alla difesa collettiva in conformità con l'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite." La mobilitazione delle truppe del CSTO, comandate dal generale Russo Serdyukov, già impegnato nei teatri caldi di Crimea e Siria, è iniziato la scorsa settimana con l'obiettivo di sostenere il governo kazako e proteggere i siti strategici e le infrastrutture critiche, e sollevando immediatamente le proteste da parte di Washington. 

La Casa Bianca ha subito espresso perplessità riguardo la presenza di truppe russe in Kazakistan bollando la decisione del governo del Paese come sbagliata. Ovviamente i morti sul campo sin dalla scorsa settimana, hanno visto manifestanti ed alcuni poliziotti, tra cui alcuni decapitati, e soldati dalla parte governativa. La regia esterna, che vedrebbe, secondo il governo kazako, gli USA in prima fila nella rivoluzione colorata di questi giorni, e soprattutto lo spettro del terrorismo islamico dietro le decapitazioni degli ultimi giorni, vede anche un nuovo protagonista all'interno della diatriba. Parliamo del banchiere Mukhtar Ablyazov, il quale dopo essere fuggito dal Kazakistan si è autoproclamato leader delle proteste ed ha esortato USA ed UE ad intervenire affinché il Kazakistan si allontani dalla sfera di influenza di Mosca. La situazione infuocata di questi giorni, che è destinata a proseguire, vede comunque, almeno per il momento, Mosca in una posizione di vantaggio rispetto alle regie esterne, e non è escluso che nei prossimi giorni possano esservi degli interventi anche da parte di altre potenze, come Pechino ed una sempre più imperialista come Ankara, già desiderosa di intervenire nella crisi in atto.

KAZAKISTAN IN FIAMME

RAISI ALLA CORTE DELLO ZAR

A cura di Luigi Olita 

La visita tenutasi dal presidente iraniano Ebrahim Raisi a Mosca il 19 gennaio, ha inaugurato una nuova fase sempre più stretta dei rapporti tra Teheran e Mosca. Ultima e non meno importante della visita di Raisi al Cremlino è stata proprio l'entrata dell'Iran all'interno della Shangai Cooperation Organization a settembre del 2021. L'incontro tra Raisi ed il governo russo vede dunque una svolta anche per quanto riguarda gli assetti geopolitici in Medioriente dal punto di vista della Russia. Ciò è stato possibile sia per l'affidabilità da parte di Putin nei confronti di Teheran, sia per il decisionismo diplomatico del nuovo presidente iraniano che, affiancato dal nuovo ministro degli esteri Abdollayan, si sta distinguendo rispetto ai predecessori moderati Rohani e zarif.

Il presidente iraniano ha affermato che i rapporti tra Russia ed Iran sono “forti, indipendenti e influenti” nella regione, ribadendo che i due Paesi si stanno impegnando nel rafforzamento dei rapporti bilaterali dal punto di vista della sicurezza e del commercio attraverso un costante dialogo. I legami bilaterali tra Mosca e Teheran, come affermato da Raisi, saranno destinati a crescere e rafforzarsi, coinvolgendo soprattutto la cooperazione economica e la sicurezza strategica e di intelligence per la stabilità della regione Mediorientale. La cooperazione tra i due Paesi per contrastare il terrorismo islamico da una parte e le mire egemoniche della NATO dall'altra, sono fondamentali per spiegare il riavvicinamento tra i due Paesi che in precedenza era stato ostacolato dalle fazioni filo americane presenti in Russia comprendendo anche una parte degli oligarchi ostili a Putin, che in ogni modo hanno sabotato lo sviluppo del partenariato russo-iraniano, principalmente nel campo dell'economia e della finanza. 

 

In Iran, con la sconfitta dei moderati alle elezioni, la fazione conservatrice ha preso il potere ripristinando la linea originale della rivoluzione iraniana. Con il timore di possibili escalation di guerra alle porte dell'Europa tra Mosca e Kiev, e con le maggiori potenze della NATO continuamente impegnate a rifornire di armi l'esercito ucraino, la necessità del Cremlino è quella di intavolare una catena di alleanze per non rimanere circondata dalla potenza militare della NATO. Questo supporto, oltre che dalla Bielorussia e dalla Cina, Putin lo trova senza problemi proprio a Teheran, fondamentale per la Russia come principale alleato all'interno del mondo islamico. Quest'ultimo, un mondo dominato negli ultimi vent'anni dall'influenza statunitense, che però ha perso pezzi soprattutto dopo la fuga del 15 agosto scorso dall'Afghanistan. In un Medioriente dilaniato da un ventennio di guerre firmate "White House", la presenza del Cremlino rassicura in parte il futuro. Ciò anche per l'asse creato con la Cina mediante la diplomazia di stampo sanitario, ma che allo stesso tempo viene portata avanti grazie ad un Soft Power apprezzato molto, soprattutto nei palazzi governativi di Teheran.

RAISI ALLA CORTE DELLO ZAR

LE MIRE DEL SULTANO IN AFRICA

A cura di Luigi Olita

La Turchia di Erdogan è da qualche tempo una spina nel fianco della NATO e soprattutto dell'intero Medioriente. Un vero e proprio cane sciolto, con una politica estera modellata per intavolare le trattative con il miglior offerente e spostarsi in modo opportunista tra Mosca e Washington. Le ultime mire geopolitiche di Erdogan, dopo il sostegno all'Ucraina con la vendita di droni Bayraktar TB-2 all'esercito ucraino per fronteggiare un'ipotetica guerra con la Russia, hanno raggiunto anche l'Africa. Il summit Africa-Turchia tenutosi ad Istanbul a metà dicembre, ha segnato un'avanzata sempre più temibile di Ankara anche nel continente africano. L’accordo messo a punto dal presidente turco e dalla sua diplomazia con 16 Paesi africani prevede una collaborazione nei settori del commercio, pace e sicurezza, educazione, infrastrutture, agricoltura e salute. Erdogan ha anche affermato che l'Africa dovrebbe avere un seggio al consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per la sua importanza nelle dinamiche globali.

Ovviamente l'impegno di Erdogan nel sostenere le iniziative e la cooperazione con i Paesi del continente africano è dettato anche dal fatto che la diplomazia di Ankara si sta muovendo in modo sempre più pressante e ramificato, contribuendo alla nascita di uffici diplomatici, per la cooperazione e culturali, con l'obiettivo di superare anche le mire egemoniche del Dragone. Gli affari intavolati dal Sultano con i suoi interlocutori africani, spaziano dai vaccini, con la vendita del Turkovac, cioè il nuovo vaccino messo a punto dalla Turchia, fino agli armamenti già venduti sia all'Ucraina sia all'Azerbaijan. Parliamo dei già citati droni Bayraktar TB-2, venduti ultimamente anche all'Etiopia per fronteggiare i ribelli nella guerra del Tigray. Il sostegno turco al governo etiope ha messo in allarme Washington, che ha intimato ad un cessate il fuoco

Le preoccupazioni USA, lanciate dal dipartimento di stato americano, si sono soffermate sulle condizioni umanitarie in costante peggioramento per quanto riguarda gli scontri nel Tigray, celando soprattutto una preoccupazione per quanto riguarda le mire egemoniche di Ankara. Un problema non da poco per Washington, che si trova ad avere la seconda potenza più forte militarmente della NATO ad inseguire le sue mire egemoniche in un continente fondamentale per gli USA. Un continente ormai diviso e diventato un obiettivo non solo di Ankara, ma anche della Francia, Russia e della Cina. Erdogan, con la sua politica estera, sta mettendo in seria difficoltà la Casa Bianca, e vede Joe Biden non solo mettere a punto alleanze per fronteggiare le spire del Dragone intorno all'Indo Pacifico ed al continente africano, ma cercare di tenere a bada una potenza alleata, quale è la Turchia che giocando sul fattore religioso e geostrategico, mira a raggiungere il ruolo di potenza egemone all'interno del mondo musulmano, inimicandosi, dunque, anche le monarchie del Golfo. Un vero problema per Joe Biden e per Vladimir Putin.

LE MIRE DEL SULTANO IN AFRICA

MATERA. IL RISCATTO DELLA CULTURA: LA BIBLIOTECA PROVINCIALE “T. STIGLIANI” NON CHIUDERA’.

A cura di Lidia Lavecchia

Sembra scongiurata, fortunatamente, la chiusura della Biblioteca provinciale Tommaso Stigliani di Matera, che aveva sollevato proteste e forte disappunto da parte dei partiti politici cittadini, associazioni e addetti ai lavori materani.

"Lunedì 31 gennaio saranno erogate le risorse che metteranno al sicuro la Biblioteca provinciale Tommaso Stigliani di Matera". L’ annuncio, via twitter, del presidente della Regione Basilicata, Vito Bardi, ha portato una luce di speranza nel tunnel in cui si era entrati nei giorni scorsi, alla notizia dei tagli i fondi.

MATERA. IL RISCATTO DELLA CULTURA: LA BIBLIOTECA PROVINCIALE “T. STIGLIANI” NON CHIUDERA’.

ISRAELE ED UCRAINA SEMPRE PIÙ VICINE

A cura di Luigi Olita

I rapporti tra Israele ed Ucraina si stanno facendo sempre più stretti, sia per fattori religiosi, sia per motivazioni legate all'ambito militare. È notizia di questi giorni che l'ambasciatore di Israele a Kiev abbia annunciato che il governo ucraino riconoscerà Gerusalemme come capitale di Israele, soprattutto dopo gli incontri tra le autorità diplomatiche di Tel Aviv ed il governo ucraino. Quest'ultimo, infatti, presieduto da Volodymir Zelensky, ha presenziato al Forum ebraico di Kiev, organizzato dalla Confederazione ebraica ucraina, per celebrare i 30 anni di relazioni diplomatiche tra i due Paesi, ed affermando, quindi, che la situazione in Ucraina è simile a quella Israeliana dal punto di vista geopolitico. Il paragone tra i due stati, messo a punto per denotare la vicinanza tra i due governi, avrebbe come punto di convergenza la Russia, che pur avendo ottimi rapporti con lo stato di Israele, e pur avendo messo a punto un piano di de-escalation in Siria, ha ultimamente e nuovamente bacchettato Tel Aviv per le sue incursioni aeree in Siria

Le relazioni tra Kiev e Tel Aviv dal punto di vista militare hanno fatto passi in avanti negli ultimi mesi anche grazie all'interesse del governo ucraino per i droni di fabbricazione israeliana di famiglia Hero, Spike e Harop, i quali si aggiungerebbero ai droni di fabbricazione turca Bayraktat TB-2 utilizzati anche nel conflitto del Nagorno Karabakh dall'esercito azero. Israele ha in passato rifornito l'esercito azero con artiglieria e droni, essendo insieme alla Turchia uno dei migliori sponsor sul mercato di armamenti aerei per Baku. l'Ucraina con il suo interesse per i droni israeliani, potrebbe accantonare i missili Javelin proposti dal Pentagono per incrementare la sua difesa aerea. Le diplomazie dei due Paesi sono sempre più in contatto, soprattutto in vista, secondo i piani del governo ucraino, di aprire un ufficio di rappresentanza riguardante cooperazione economica e tecnologica a Gerusalemme. Una mossa, quella del governo ucraino, volta a consentire alla diplomazia israeliana di entrare come mediatrice nei rapporti, ormai pessimi, tra Mosca e Kiev, ed unirsi ad un'altra piccola diplomazia, quella Vaticana, per cercare di ammorbidire la tensione nel Donbass.

ISRAELE ED UCRAINA SEMPRE PIÙ VICINE

TRA RUSSIA E UCRAINA NON C'È PACE

A cura di Luigi Olita 

La situazione che si è delineata in questi giorni tra Mosca e Kiev, quest'ultima spalleggiata dalla NATO e da Washington, si è aggravata sempre di più. Le ultime parole del segretario di stato americano Anthony Blinken hanno fatto trapelare che la situazione deve essere risolta in modo diplomatico, ma allo stesso tempo i prossimi giorni che si profileranno saranno molto duri per il popolo ucraino. Già con gli incontri di Ginevra, avvenuti nelle settimane precedenti, non si è raggiunto nessun accordo tra Mosca e Washington ed il protagonista delle trattative da parte russa, il vice ministro degli affari esteri Sergej Ryabkov, ha fatto trapelare insoddisfazione per le mancate garanzie di sicurezza da parte di Washington. Ad aggravare la situazione ha contribuito anche il segretario della NATO Jens Stoltenberg, il quale ha affermato che l'Ucraina e la Georgia potrebbero entrare all'interno dell'Alleanza Atlantica in qualsiasi momento, anche se non è stata stabilito quando. Ovviamente dalle parti del ministero degli esteri russo numerose voci autorevoli hanno affermato che la pazienza con l'Alleanza Atlantica è finita e l'ipotesi di porre armi nucleari in luoghi strategici non verrà scartata. 

Il questo contesto molto difficile da decifrare, è fondamentale tenere presente la posizione di Washington che non è intenzionata ad arrivare ad uno scontro diretto con Mosca, ma allo stesso tempo la Casa Bianca ha delegato all'intelligence americana di portare avanti i piani militari con lo stato maggiore ucraino. Infatti, come trapelato da testate internazionali, la CIA sta portando avanti un piano di addestramento delle forze armate ucraine e dei gruppi paramilitari alleati di Kiev. Nella difficile partita a scacchi Ucraina, è molto importante il ruolo di Londra, membro fondamentale della NATO e soprattutto longa manus insieme a Washington per quanto riguarda il rifornimento di armi al governo di Kiev. Dunque, una serie di attività che a Mosca stanno facendo storcere il naso, e soprattutto, contribuendo ad aggravare la situazione. Nonostante ciò, il numero due del Cremlino Ryabkov ha comunque ripetuto che l'invasione da parte di Mosca dell'Ucraina, ventilata in questi giorni dall'intelligence americana, non ci sarà, ma in ogni caso Mosca pretenderà garanzie riguardo la non adesione dell'Ucraina alla NATO. La situazione è sul filo del rasoio, con numerosi attori impegnati nella contesa ed una Gran Bretagna sempre più al centro degli spazi aerei internazionali per quanto riguarda il rifornimento di armi e tecnologie militari a Kiev. In una diatriba del genere non è mancato nemmeno l'appello del presidente Erdogan che ha chiesto che la contesa tra Putin e Zelensky venga risolta proprio ad Ankara. La tensione non è mai stata così alta dal 2014, infatti dopo gli incontri di Ginevra, nelle prossime ore si incontreranno il segretario di stato Blinken e Sergej Lavrov nuovamente a Ginevra. La palla, per ora, è ancora in mano alla diplomazia.

TRA RUSSIA E UCRAINA NON C'È PACE

L'ASSE MOSCA-PECHINO CORRE AI RIPARI

A cura di Luigi Olita

La bollente questione Ucraina che vede contrapposti il blocco NATO e Mosca, e dall'altra parte il dossier Taiwan che sta facendo scaldare i motori alla Cina e mette in allarme sia Taipei che Washington, stanno rafforzando sempre di più l'asse tra Mosca e Pechino.

Infatti, nella giornata del 15 dicembre, il presidente russo Vladimir Putin ed il suo omologo cinese Xi Jinping, hanno tenuto un incontro virtuale per discutere del loro impegno riguardo le pressioni da parte degli USA e dei suoi alleati nelle zone calde del pianeta. Il rapporto tra i due capi di stato è parso ancor di più stretto rispetto al solito, poiché entrambi si sono rivolti con le espressioni estremamente amichevoli, sancendo sempre di più una stretta dei loro rapporti per fare fronte all'avversario comune. Sono stati discussi i temi riguardanti l'Ucraina e Taiwan, che hanno come comune denominatore Washington, ed entrambi hanno mostrato appoggio reciproco nelle rispettive questioni. Il capo di stato russo ha anche affermato che parteciperà alle Olimpiadi di Pechino di febbraio 2022, dopo il continuo boicottaggio che si sta verificando in queste settimane da parte degli USA e dei suoi maggiori alleati.
Oltre ai due dossier di Ucraina e Taiwan, si è aperta una discussione riguardante l'AUKUS, cioè l'Alleanza stretta tra USA, Gran Bretagna ed Australia nell'Indo Pacifico per contenere l'espansionismo del Dragone, e che ha visto anche l'acquisto da parte dell'Australia di sottomarini a propulsione nucleare da Washington.
Inoltre il presidente cinese ha affermato di “comprendere le preoccupazioni russe” e soprattutto continuerà a sostenere Mosca per quanto riguarda le sue richieste di garanzie di sicurezza agli USA.
Putin si è espresso in modo critico riguardo la nuova alleanza a tre nel Pacifico soprattutto per un possibile rafforzamento dell'asse nel campo dell'intelligence tra i Cinque Occhi.
Il presidente cinese Xi ha poi riferito al suo omologo russo che nonostante non sia stata sottoscritta un'alleanza tra Russia e Cina, il legame che si è instaurato tra le due potenze è tale da andare oltre un’alleanza. I due capi di stato hanno anche discusso di relazioni commerciali ed economiche. Infatti sono stati affrontati i temi riguardanti il progetto del gasdotto Power of Siberia-2, le esportazioni di grano russo alla Cina e, più importante di tutti, il progetto di
costituire un'infrastruttura finanziaria indipendente, che sgancerebbe le due potenze dalla dipendenza dalle banche occidentali e soprattutto dal continuo arrivo di sanzioni da parte dell'UE.
Il pericoloso asse, per Washington, che sta via via rafforzandosi, è sicuramente una delle questioni più importanti che stanno sulla scrivania di Biden, il quale dopo il summit sulla democrazia tenutosi le scorse settimane ha visto l'incontro virtuale tra i suoi due avversari come una replica alle strategie americane. Le due agende riguardanti Ucraina e Taiwan sono di fondamentale importanza, poiché se da un lato il continuo accanimento contro la Russia porterebbe ad una vera e propria catastrofe nell'est Europa, dall'altro si continuerebbe a perdere di vista che la continua avanzata del Dragone sta bruciando le tappe e soprattutto si continua ad insediare in Occidente e non, cavalcando i fallimenti dell'imperialismo americano. Un tema che Biden dovrebbe tenere a mente, riprendendo il braccio di ferro iniziato da Trump con Pechino, prima di andare a sbattere, come affermato tempo fa dal presidente Xi, contro la grande Muraglia.

L'ASSE MOSCA-PECHINO CORRE AI RIPARI

E SE FOSSE UN PASO DOBLE?

LA VOCE DEL DIRETTORE

Siamo ormai al dunque. Entro pochi giorni sapremo chi sarà il tredicesimo Presidente della Repubblica italiana. Numeri ballerini per il fattore Covid. Nei primi tre giri serviranno per eleggere il nuovo Presidente 671 voti poi, alla quarta chiamata, ne serviranno 504. Da Draghi al bis di Mattarella, da Berlusconi a Cartabia, da Casellati a Casini, siamo al toto Presidente. In realtà la situazione tra i partiti appare complicata, piuttosto fluida ma per così dire quantomeno opaca. La soluzione Mattarella bis sembra sempre più difficile da praticare vista la fermezza del Presidente di non voler proseguire, eppure sarebbe stata la soluzione più semplice lasciando l’agorà politica immutata fino alle prossime elezioni. Senza questa possibilità è evidente che ci sia il rischio di giocare una doppia partita colle-governo. Coloro che vorrebbero Draghi al colle giocano questa partita che ci appare sempre più lontana dalla realtà, ci giocano i Dem che hanno lavorato per super Mario Draghi al quirinale per poi pensare di prendersi palazzo Chigi defenestrando la Lega con Enrico Letta o piuttosto Dario Franceschini. Partita persa, decisamente. I Cinque Stelle restano in confusione. Del resto l’alternativa ad un colpo di mano e ad una spaccatura della maggioranza sarebbero le elezioni politiche anticipate che nessuno dei parlamentari vorrebbe con il rischio reale che in molti non sarebbero rieletti. Quindi ipotesi che ci sentiamo di bocciare. Casellati, Cartabia, Gentiloni non ci paiono plausibili. Pierferdinando Casini sarebbe invece percorribile ed è una ipotesi che regge. Poi c’è la candidatura di Berlusconi. Il centrodestra è unito ma è evidente che sia una candidatura divisiva e poco percorribile non per la caratura del Cavaliere ma piuttosto per le opposizioni troppo ostiche all’idea. E ci immagineremmo cosa potrebbe succedere con tale elezione in certi ambienti che si proclamano democratici ma nauseano di ideologie vetuste. E invece se Berlusconi pensasse a un paso doble? Lui è un uomo fin troppo intelligente per non capire di non poter accedere al colle e l’idea di far girare il suo nome, in qualche modo anche provarci ma consapevolmente e strategicamente pensare già a un dietro front volontario, sarebbe un meraviglioso coupe de theatre. Berlusconi potrebbe da grande gentiluomo e uomo della Nazione “sacrificare” la propria candidatura per esprimerne un’altra con la sua primogenitura: Gianni Letta. Uomo suo ma anche uomo di grande equilibrio e prestigio e in fondo, oltre le parentele, ben voluto anche dalla sinistra. Una strategia che potrebbe andare a segno senza colpo ferire e conquistare finalmente, per il centrodestra, il colle.

di Giovanni Salvia

E SE FOSSE UN PASO DOBLE?

ALTA TENSIONE AL CONFINE RUSSO-UCRAINO

A cura di Luigi Olita

Le tensioni tra Russia ed Ucraina non si placano, e l'incontro virtuale tra il presidente russo Putin ed il suo omologo americano Biden si è concluso con poche rassicurazioni e nemmeno troppo sicure. Le accuse di Kiev alla Russia di continuare ad ammassare truppe e mezzi corazzati lungo i suoi confini nazionali sono sempre più insistenti, mentre da Mosca arrivano rassicurazioni sul fatto che non è intenzionata ad intraprendere una guerra. La NATO, capitanata da Washington, si è detta propensa ad essere al fianco dell'Ucraina in caso di attacco da parte di Mosca, ma senza assicurare la sua presenza in forma militare; infatti, le riluttanze della Casa Bianca di andare ad uno scontro diretto con la Russia sono tante, nonostante le numerose provocazioni di Washington ed alleati nel corso di questi ultimi mesi contro la Russia.

Il sostegno da parte della NATO, sin dai tempi dell'amministrazione Obama, a gruppi ucraini para nazisti come il battaglione Azov ed il sostegno da parte dell'intelligence americana e del Pentagono all'esercito ucraino, hanno messo in allarme Mosca ed i filo russi del Donbass. A sostegno degli apparati militari ucraini è giunta anche la   che ha promosso un addestramento delle truppe ucraine e del comparto intelligence di Kiev. Anche altri alleati americani hanno provveduto ultimamente all'addestramento del comparto militare ucraino per far fronte ad un'imminente invasione da parte della Russia al Granaio d'Europa. Le discussioni riguardanti una possibile invasione russa sono molteplici poiché secondo le dichiarazioni dell'intelligence americana la Russia starebbe preparando un'invasione tra l'inizio del 2022 ed il mese successivo.

Affermazioni smentite dalla stessa Mosca, che non sarebbe interessata ad una guerra con l'Ucraina ma si è detta pronta a reagire in caso di attacco. Ovviamente le numerose richieste da parte dell'Ucraina agli USA di entrare a fare parte della Alleanza Atlantica non hanno ancora convinto Washington, che con Biden ha frenato l'entrata di Kiev, ma allo stesso tempo con la conversazione virtuale avvenuta il 7 dicembre tra Biden e Putin, il presidente americano non ha smentito una possibile entrata dell'Ucraina all'interno della NATO. Questo argomento, fortemente messo sul tavolo da Putin, è sicuramente il più rovente del dossier Ucraina, poiché una possibile entrata di Kiev nella NATO, garantirebbe al Granaio d'Europa la protezione incondizionata della Casa Bianca grazie all'articolo 5 del trattato Atlantico, in caso di guerra tra Mosca e Kiev. Le tensioni stanno aumentando anche se le diplomazie dei Paesi coinvolti stanno lavorando incessantemente per scongiurare il peggio, poiché si andrebbero a coinvolgere nella peggiore delle ipotesi, Paesi per nulla propensi ed interessati a risolvere la questione manu militari.

ALTA TENSIONE AL CONFINE RUSSO-UCRAINO

Il Migliore?

A cura di  K. von Metternich

A quasi un anno dalla nomina a Presidente del Consiglio dei Ministri del Prof. Mario Draghi, una domanda sorge spontanea: veramente trattasi del Migliore? La tempesta pandemica e il caos politico con essa creatosi, seguito al “ribaltone” di Governo del Conte 2 hanno consegnato l’Italia nelle mani di Mario Draghi. Il Presidente della Repubblica Mattarella in quel febbraio del 2021 si vide quasi costretto, data la confusione che regnava nel Paese, ad imporre il Governo dei Migliori. Il Governo del quasi tutti dentro, l’esecutivo della responsabilità guidato dall’unico volto nostrano spendibile a Bruxelles. Dopo un anno, a metà gennaio del 2022 l’Italia è cambiata? E’ guarita? A leggere l’Economist, l’Italia è il miglior Paese dell’anno. Draghi è il leader perfetto ed in Europa e nei circoli finanziari che contano sono tutti tranquilli. C’è, però, da chiedersi cosa ne pensino gli italiani del primo anno del ductor. Ad oggi, l’Italia è ancora in stato di emergenza, si aggiornano ogni giorno i record di contagi da Covid-19, il sistema ospedaliero inizia a tornare in difficoltà, le scuole sono aperte per norma, ma molte sono in realtà in Dad e perfino nello sport ci si ritrova nella confusione normativa più totale. Allora, davvero la guida del Professor Draghi è così sicura? In questo anno è assolutamente apprezzabile lo sforzo del Governo per favorire la campagna vaccinale. Giustamente, pur di ampliare la platea dei vaccinati e convincere i più riluttanti, si è passati dal Green Pass, al Green Pass Rafforzato al Super Green Pass. Purtroppo, con il passare dei mesi mentre i cittadini italiani rispondevano presente alla campagna di immunizzazione, i contagi continuavano a salire nei periodi autunnali ed invernali, cioè quelli di maggior recrudescenza dei virus influenzali. In un anno il Governo dei Migliori avrà attenuato i problemi di ospedali, medicina territoriale e scuole? Gennaio 2022, gli ospedali in questa quarta ondata del virus stanno tornando a saturarsi, i tracciamenti, come denunciato dai medici di base, sono impossibili e le scuole sono aperte contro il parere di Regioni, Presidi ed Insegnanti. Sulle scuole, un piccolo inciso, sono aperte nel vero senso della parola. Infatti, molte sono le segnalazioni di insegnanti che per paura del contagio costringono gli alunni a stare 5/6 ore al giorno, in aula, in pieno gennaio, con finestre spalancate. In estate, con calma, il Governo dei Migliori non poteva pensare di dotare le scuole, così come tutti gli uffici pubblici, di sistemi di aerazione meccanica controllata? Ultimo caso, lo sport. L’esempio del calcio è calzante a rendere l’idea dell’impreparazione governativa. Ad inizio campionato gli stadi erano aperti al 75% della capienza, poi si è passati al 50% ora negli stadi si può accedere massimo in 5000 in nome della sicurezza sanitaria. Purtroppo, nessuno si è accorto, nei pressi di Palazzo Chigi, che in uno stadio come quello di Venezia la capienza di 11.150 spettatori porta un riempimento al 50%, al contrario di San Siro che con capienza di 76.000 spettatori e 5000 ammessi ha un impianto pieno al 6%. Tutto questo ai “Migliori” lo hanno riferito?

Il Migliore?

CINA E LITUANIA AI FERRI CORTI

A cura di Luigi Olita

Il governo della Lituania ha ultimamente concesso all'isola di Taiwan di aprire una sede diplomatica sul suo territorio. Un'azione che non è piaciuta a Pechino che ha condannato la violazione del principio di neutralità da parte di Vilnius e che sin da agosto ha aperto una diatriba diplomatica con quest'ultima, dimostratasi monolitica per quanto riguarda la concessione a Taiwan. La diplomazia cinese, dopo lo scacco diplomatico di Vilnius, non solo ha provveduto a ritirare il suo ambasciatore dalla Lituania, cosa fatta in seguito anche dalle autorità lituane, ma ha anche affermato che le relazioni tra la piccola Repubblica baltica ed il Dragone saranno riservate soltanto ad una diplomazia di stampo economico. Questo affronto da parte di Vilnius, che riguarda una delle dispute più calde del pianeta tra il blocco cinese ed il blocco occidentale, dimostra quanto l'Alleanza Atlantica si stia mettendo in azione per accerchiare il potente Dragone.

Taiwan è stata introdotta, ancora di più sotto la presidenza Biden, sotto l'ala protettiva degli USA. L'obiettivo della Casa Bianca è quello di allargare ancora di più il campo di protezione alla piccola isola, in funzione anti cinese, ma anche per lanciare un messaggio a Mosca. Quest'ultima ha relazioni di cooperazione economica e militare con la Cina in funzione anti americana ed il coinvolgimento da parte di Washington delle piccole Repubbliche baltiche nella diatriba contro l'asse sino-russo avrebbe lo scopo di militarizzare maggiormente la nuova cortina di ferro che separa il sistema della NATO da quello di Mosca e Pechino. Ovviamente, l'appoggio incondizionato a Taiwan, satellite americano nelle acque cinesi, non fa altro che indispettire Pechino, già resosi protagonista di violazioni dello spazio aereo e di dichiarazioni di conquista della piccola Repubblica di Cina. Il limbo diplomatico tra Vilnius e Pechino potrebbe peggiorare nelle prossime settimane, soprattutto perché dalle stanze di Washington e Bruxelles la paura per le spire del Dragone sono sempre più concrete e dunque è fondamentale coinvolgere più attori politici per contrastare la realpolitik cinese, ormai diventata un incubo per Washington.

CINA E LITUANIA AI FERRI CORTI

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