LA GUERRA IN UCRAINA RISVEGLIA L’ALLEATO DEL CREMLINO

A cura di Luigi Olita

Il 18 marzo, il presidente siriano Bashar Al Assad ha compiuto la prima visita in un paese arabo dall'inizio del conflitto in Siria iniziato nel marzo del 2011. Assad si è infatti recato negli Emirati Arabi Uniti ed ha incontrato il principe ereditario di Abu Dhabi Mohammed Bin Zayed Al Nayhan. Una visita inaspettata che vede in questo contesto di guerra alle porte dell'Europa, e soprattutto con il coinvolgimento della Russia come principale alleata di Damasco, un vero e proprio rilancio della politica estera della Siria. Il comportamento degli Emirati Arabi ha indispettito non poco gli Stati Uniti, i quali si sono espressamente dichiarati delusi per l'apertura degli Emirati a Damasco, e soprattutto per l'inizio della normalizzazione dei rapporti già cominciata con il Libano e Giordania. La mossa degli Emirati Arabi Uniti nell'aprire la via diplomatica a Damasco segna un ricambio nell'ordine mondiale che si sta delineando con il conflitto ucraino e con una serie di alleanze che stanno nascendo intorno a Mosca. 

Infatti gli stessi Emirati Arabi e l'Arabia Saudita avevano rifiutato di rispondere al telefono al presidente Biden le settimane successive all'invasione. Una presa di posizione che ha lasciato Washington indispettita e con non pochi dubbi riguardo le future azioni diplomatiche di Abu Dhabi ed il suo avvicinamento insieme a Riyahd a Pechino. Non va dimenticato allo stesso tempo che proprio la scorsa estate la diplomazia cinese con il ministro degli esteri Wang Yi aveva fatto tappa proprio in Siria per sostenere il presidente Assad. Dunque dopo il sostegno incondizionato degli Hezbollah libanesi, dell'Iran e della Russia, e quindi con una normalizzazione e quasi stabilizzazione della situazione all'interno del paese lacerato da una guerra civile e contro l'estremismo islamico finanziato soprattutto da attori esterni quali l'Arabia Saudita e la Turchia, la Siria rilancia la sua politica estera contando sull'asse Pechino Mosca. Sul medesimo asse Emirati Arabi ed Arabia Saudita hanno spostato le loro mire, sia per ragioni energetiche sia geostrategiche, facendo trapelare insoddisfazione nei confronti dello storico alleato americano. Il riavvicinamento con la Siria di Assad potrebbe essere una mossa diplomatica celata per cercare di ammorbidire le tensioni con l'Iran, attore estremamente influente nella regione e soprattutto partner militare di Damasco e con un forte peso anche nello scacchiere afghano. Dunque un nuovo rilancio diplomatico di un paese martoriato da undici anni di guerra che si appresterebbe a rinascere all'interno della politica mondiale.

LA GUERRA IN UCRAINA RISVEGLIA L’ALLEATO DEL CREMLINO

VENTI DI GUERRA?

A cura di Luigi Olita

Mentre Boris Johnson affermava che Vladimir Putin sta preparando la più grande guerra dalla fine della seconda Guerra mondiale e tutta la NATO si preparava allarmata a supportare l'Ucraina però senza intervenire militarmente come affermato dal presidente Biden, il capo del Cremlino ha riconosciuto il 21 febbraio le due Repubbliche separatiste del Donetsk e del Luhansk. Una mossa fatta da Putin dopo che l'intero parlamento russo l'aveva richiesto, a cominciare proprio dal Partito Comunista della Federazione Russa. Il riconoscimento ha sollevato un vespaio in tutta Europa e soprattutto alla Casa Bianca, con Joe Biden preso alla sprovvista, soprattutto perché convinto di una iniziativa militare da parte di Mosca. In effetti, dopo il riconoscimento del Donbass da parte di Mosca, il Cremlino ha dato ordine alle truppe russe di recarsi nelle due piccole Repubbliche separatiste, ma non si parla ancora di invasione nelle stanze del Cremlino e della Duma, se non paventata dai principali giornali occidentali.

Ovviamente i principali leader europei, in linea con Washington non si sono fatti attendere nella risposta; infatti, Berlino, uno dei primi interlocutori di Mosca, con il cancelliere Olaf Scholz, ha bloccato il gasdotto Nord Stream 2 che collega la Russia con la Germania. A seguire sono state lanciate le prime sanzioni da parte di Washington e della comunità Europea, andando a colpire in special modo l'intera Duma. Sanzioni che andrebbero a colpire singolarmente più di quattrocento deputati della Federazione Russa, dunque producendo un effetto domino riguardo una possibile escalation. Sul fronte del Donbass, numerose sono le violazioni di cessate il fuoco da parte delle forze armate di Kiev nei confronti dei separatisti, costringendo in questo modo una continua emigrazione dal Donbass verso la Russia. Nelle ultime ore oltre alle violazioni del cessate il fuoco sono stati sventati attentati da parte del FSB, preparati da dei gruppi paramilitari di ideologia neonazista, uno di questi il Pravy Sektor, in procinto di colpire una chiesa ortodossa in Crimea.

Dunque se da parte di Mosca c'è la volontà di non indietreggiare di fronte alle interferenze della NATO e della UE in Ucraina, che nasconde comunque un tornaconto economico per Putin essendo il territorio delle due Repubbliche geostrategico, da parte di Kiev vale la stessa ed identica cosa. Infatti, il presidente ucraino Zelensky ha fatto trapelare che l'Ucraina non ha paura di fronteggiare la Russia anche per la forte unità del popolo ucraino e per il sostegno da parte del mondo occidentale e di numerosi gruppi militari composti da soldati stranieri che si stanno formando ed addestrando per combattere Mosca. L'Occidente non ha intenzione, secondo le parole di Joe Biden, di inviare militari in Ucraina per supportare Kiev per una possibile invasione, ma l'invio delle truppe in Romania ed in Polonia è stato comunque attuato nelle settimane precedenti. La Duma russa, in queste ore cruciali, ha affermato che sarebbe opportuno ordinare alle forze armate russe di operare fuori dai confini, con l'obiettivo di difendere le repubbliche separatiste alleate. Azioni contrastate dall'occidente e che nella gravità della situazione, potrebbero mettere Mosca nel mirino dell'esercito di Kiev. Se un solo soldato russo dovesse cadere, l'escalation non potrebbe che aumentare, portando dunque lo scoppio delle ostilità sul campo tra Mosca e Kiev.

VENTI DI GUERRA?

XI ALLA CORTE DI RIYADH

A cura di Luigi Olita

Le autorità dell'Arabia Saudita hanno invitato il presidente cinese Xi Jinping a visitare la capitale Saudita dopo il mese di Ramadan. I rapporti tra Pechino e Riyadh si sono intensificati negli ultimi mesi, a causa soprattutto del deterioramento delle relazioni con Washington. Gli storici rapporti tra Arabia Saudita e USA inaugurati durante la presidenza di Franklin Delano Roosevelt, hanno mostrato le prime crepe con la presidenza di Barack Obama, migliorando con Donald Trump, ma hanno raggiunto il punto più basso proprio con Joe Biden. Infatti, il presidente Biden ha condannato ed incalzato il Principe ereditario Saudita Mohammed Bin Salman per l'assassinio del giornalista dissidente Jamal Khasoggi ed ha diminuito l'appoggio alla campagna militare saudita contro lo Yemen. Dunque un deterioramento dei rapporti tra due storici alleati che hanno da sempre collegato la sicurezza energetica e la sicurezza militare.

La mossa Saudita nell'invitare Xi Jinping a Riyadh ha assestato un duro colpo a Washington, poiché l'abbraccio mortale del Dragone a discapito di Washington, potrebbe intaccare definitivamente la credibilità americana nell'arco delle monarchie del Golfo. Il viaggio del capo di stato cinese sarebbe il primo dall'inizio della pandemia da Covid, e potrebbe avvenire già nel mese di maggio. La notizia della visita in Arabia Saudita, arriva pochi giorni dopo che il gigante petrolifero Saudita Saudi Aramco ha stretto un accordo da 10 miliardi di dollari per sviluppare una raffineria ed un complesso petrolchimico nel nord est della Cina, assieme alle società North Huajin Chemical industries group corporation e la Panjin Xincheng industrial group. Inoltre, l'Arabia Saudita è in trattativa con Pechino per valutare in yuan alcune delle vendite di petrolio alla Cina. Le trattative tra Cina ed Arabia Saudita riguardo lo yuan sono attive da sei anni, ma negli ultimi mesi sono state velocizzate proprio per il deterioramento dei rapporti tra Riyadh e Washington. 

La Cina, in questo contesto, acquista più del 25% del petrolio esportato dall'Arabia Saudita, e le successive vendite potrebbero favorire la valuta cinese. Il pericoloso abbraccio del Dragone, caratterizzato da un poderoso Soft Power ritenuto credibile non solo in Africa ma anche in Medioriente e nel Golfo, sta mettendo pericolosamente in soggezione la posizione di Washington nel mondo. Un'espansione da parte della Cina senza precedenti, la quale prosegue la sua guerra senza limiti puntando sul dissanguamento dell'avversario, ritenuto da molti estremamente debole nella sua missione di faro della libertà e della democrazia.

XI ALLA CORTE DI RIYADH

SCHOLZ SCENDE IN CAMPO PER SCONGIURARE LA GUERRA

A cura di Luigi Olita 

Nonostante al potere in Germania non ci sia più Angela Merkel, il cui peso politico ed internazionale l'aveva resa la regina d'Europa, il ruolo di Berlino per quanto riguarda la sicurezza dei confini europei rimane fondamentale. Olaf Scholz, successore di Angela Merkel, ha inaugurato questa settimana una serie di incontri sia in Ucraina che in Russia, dopo aver avuto colloqui sia con Joe Biden che con Emmanuel Macron. Gli incontri di questa settimana hanno visto il faccia a faccia tra Scholz ed il presidente ucraino Zelensky, ed il giorno successivo con il presidente russo Vladimir Putin. L'incontro tra Zelensky e Scholz è stato caratterizzato dalle rassicurazioni del cancelliere tedesco nei confronti dell'Ucraina, affermando il suo sostegno e dell'Alleanza Atlantica a Kiev e soprattutto rimarcando le preoccupazioni per la presenza delle truppe russe al confine con l'Ucraina. 

Una posizione scomoda quella di Scholz, che pur essendo un fedele alleato degli USA all'interno della NATO ed uno dei membri di spicco dell'UE, ha dall'altra parte il compito fondamentale di seguire le orme della ex cancelliera Merkel per quanto riguarda la diplomazia con Mosca. Infatti, il giorno successivo all'incontro con il presidente Zelensky, Scholz ha incontrato al Cremlino il capo dello stato russo, con il quale ha discusso degli ultimi avvenimenti e soprattutto presentando le preoccupazioni dell'Alleanza e della stessa Germania. Il cancelliere tedesco ha esposto la sua preoccupazione per la presenza delle truppe russe al confine, una parte delle quali hanno battuto la ritirata già prestabilita dopo la fine di alcune esercitazioni militari, e soprattutto ha espresso al presidente russo l'impegno di Berlino nel cercare di preservare la ''Pax Europea''. Allo stesso tempo Berlino avrà un ruolo nell'imposizione di sanzioni contro Mosca se la situazione dovesse comunque degenerare. 

Fondamentale, in ogni caso, per Scholz è il mantenimento della stabilità in Europa e soprattutto con Mosca, dunque cercando di non fare comparire le prime crepe nel rapporto diplomatico costruito negli anni di cancellierato di Angela Merkel, e che vede come summa dell'asse Berlino Mosca proprio il gasdotto Nord Stream 2. Quest'ultimo, in caso di guerra, sarebbe il primo ad essere compromesso nella sfera diplomatica tra Mosca e Berlino. Un rischio che Olaf Scholz non può permettersi di correre, soprattutto dopo le prime prese di posizione contro la Russia e contro lo stesso Nord Stream 2 da parte della sua stessa maggioranza. Parliamo infatti della compagine dei Verdi che detengono il ministero degli affari esteri con la ministra Baerbock, ostile al rapporto strategico tra Berlino e Mosca. L'impegno di Scholz per evitare lo scoppio delle ostilità dovrà essere maggiore rispetto a tutti gli altri leader europei in quanto a peso internazionale; sia per il ruolo di Berlino in Europa, sia per preservare un Nord Stream 2, da sempre osteggiato da Washington e dalla stessa Berlino, e che è nel mirino del pacchetto di sanzioni europee che andrebbero a danneggiare, nel caso, la stessa Germania.

SCHOLZ SCENDE IN CAMPO PER SCONGIURARE LA GUERRA

BENNETT VOLA A MOSCA PER TENTARE LA PACE

A cura di Luigi Olita

Dopo i tentativi di Emmanuel Macron, in costante contatto con Vladimir Putin per cercare di trovare un accordo per corridoi umanitari ed un cessate il fuoco, un altro attore si è affacciato direttamente sulla scena internazionale per tentare le medesime imprese. Parliamo di Israele e del suo primo ministro Naftali Bennett che è partito una settimana fa alla volta di Mosca per incontrare Vladimir Putin. Il faccia a faccia con il presidente russo non è stata cosa facile, sia per la determinazione del Cremlino nel procedere con le attività belliche, sia per una mancanza di diplomazia europea con cui lo stesso Bennett si è trovato a confrontarsi nelle ore successive all'incontro con Putin. 

Al di là della poco riuscita impresa del capo del governo israeliano (c'era da aspettarselo), molto importante è che tale incontro sia avvenuto in un giorno altamente simbolico per lo stato di Israele. Infatti, sabato 5 marzo ricadeva come di consueto lo Shabbat, cioè il giorno del riposo, fortemente rispettato dal popolo ebraico. Dunque, non dedicarsi al riposo e volare a Mosca per discutere della pace necessaria con il presidente russo, ha messo in risalto quanto la situazione sia fondamentale anche per lo stesso Israele e quanto il conflitto possa estendersi fino ai propri confini, dunque assumere una potenziale dimensione globale. Una cosa non sottovalutata dal primo ministro Bennett, il quale sta comunque dimostrando capacità diplomatiche non indifferenti, e sul dossier Ucraina, sta seguendo le orme del predecessore Nethanyau. Infatti, la questione che lega Israele all'Ucraina è dettata non solo dai rapporti diplomatici consolidati nel tempo, ma soprattutto dal fattore religioso, che vede nel presidente ucraino Zelensky il filo conduttore tra Kiev e Tel Aviv. Zelensky, di religione ebraica, è tenuto in forte considerazione dal governo israeliano, così come la consistente comunità ebraica dell'Ucraina che è ritenuta in pericolo in questo periodo di guerra. 

Dunque il ruolo di Tel Aviv è fondamentale, soprattutto per il fattore religioso che forgia la sua politica estera e le relazioni con gli altri paesi. I suoi ottimi rapporti con Ucraina e Russia ne fanno l'attore principale per trattare, considerando anche il fatto che prima dell'incontro con Putin il confronto telefonico tra Bennett e Biden era d'obbligo. Dunque un'azione diplomatica, quella di Bennett, anche per conto della Casa Bianca, che dinanzi ad una crisi di tale portata pare sempre più disorientata ed alle prese con azioni diplomatiche inusuali, che coinvolgerebbero, dunque, anche Pechino e Caracas pur di fermare l'azione del Cremlino. Dunque un attore da tenere molto stretto in campo diplomatico, tanto piccolo geograficamente quanto influente a livello politico, che rispetto alla Francia o alla Germania come potenze europee, ha un maggior grado di azione e libertà di manovra. Aiutato soprattutto dal fattore religioso e da quelli etnico e linguistico, con il 15% della popolazione israeliana di origine russa e la stessa lingua russa come terza più parlata dopo ebraico ed arabo, Israele sta continuando la sua attività diplomatica proprio perché al centro del triangolo che unisce Mosca Washington e Kiev, e che la stessa realpolitik della stella di David cerca di portare avanti per evitare che la guerra arrivi ai propri confini e minacci tutto ciò che di ebraico si trovi nella regione.

BENNETT VOLA A MOSCA PER TENTARE LA PACE

IL PROTAGONISMO DI LONDRA NELLA CRISI UCRAINA

A cura di Luigi Olita

La situazione tra Russia ed Ucraina continua a peggiorare, con l'aumento delle truppe russe a confine con l'Ucraina ed una UE e NATO sempre più preoccupate per un imminente attacco da parte di Mosca. Un attacco che secondo le agenzie di intelligence occidentali, in primis americana e britannica, potrebbe avvenire in qualsiasi momento e che secondo alcune ipotesi si potrebbe concretizzare nella settimana delle Olimpiadi invernali di Pechino. Anche il primo ministro britannico, Boris Johnson, ha affermato che i giorni che verranno saranno difficili per l'Ucraina, ordinando al personale diplomatico di Londra di lasciare il Paese. Allo stesso tempo, numerosi Paesi, compresi gli USA, dopo un giro di telefonate da parte della Casa Bianca, hanno ordinato al rispettivo personale diplomatico di lasciare Kiev. Nonostante il forte allarmismo, e con una Unione Europea frammentata, le varie diplomazie europee si sono attivate in questi giorni per cercare di ammorbidire la situazione. 

La visita di Macron a Mosca e le mosse della diplomazia tedesca, hanno cercato di spegnere le fiamme generate in queste ultime settimane. La mossa di Macron è stata portata avanti sia per evitare un disastro alle porte dell'Europa, sia per affermare il primato della Francia all'interno dello scacchiere diplomatico europeo. Ovviamente, tra tutte le diplomazie, una più di tutte si sta affermando la vera protagonista del mondo occidentale nella partita ucraina. Parliamo di Londra, la quale pur non essendo più un membro dell'UE, ha il suo forte peso all'interno del mondo occidentale e dell'Alleanza Atlantica. Importante la presa di posizione di Londra a favore dell'Ucraina e rivelatasi come un vero e proprio muro nei confronti di Mosca. Ciò dimostrato sia dopo l'incontro tra la ministra degli affari esteri britannica Liz Truss con il suo omologo russo Lavrov, conclusasi in modo deludente tra le due parti, con Lavrov che ha definito senza precedenti il suo incontro con il ministro degli Esteri britannico. L'incontro tra i due capi delle diplomazie ha visto il ministro Truss decisa a non ascoltare le richieste di Mosca, dunque ponendosi come il falco per eccellenza dell'amministrazione di Boris Johnson. 

Diverso l'incontro tra Sergej Shoigu e Ben Wallace, dove quest'ultimo, ministro della Difesa britannico, ha affermato che la Gran Bretagna fornisce all'Ucraina armi in numero limitato a scopo difensivo e non offensivo. Shoigu ha replicato affermando che le relazioni tra Mosca e Londra in campo di cooperazione non hanno mai raggiunto un punto così basso e stanno "andando sottozero, ed è ciò che vorremmo evitare". Shoigu ha anche affermato che è importante "discutere le questioni più urgenti senza alimentare le tensioni già esistenti tra Russia e Nato, e tra Russia e Gran Bretagna, in particolare, facendo affidamento sulla storia della nostra partnership e cooperazione militare". Oltre a questi incontri diplomatici abbastanza infuocati, il ruolo di Londra nella crisi ucraina è stato fondamentale negli ultimi mesi con il costante invio di materiale bellico e di personale militare per l'addestramento non solo in Ucraina ma anche in Polonia. Londra, dunque, con la sua politica estera si pone, almeno negli ultimi giorni, come la vera protagonista dello scontro tra NATO e Russia, prendendo le redini della politica estera Euro-Atlantica. Apparendo in modo ancora più interventista rispetto all'amministrazione Biden e mostrando i muscoli, Londra porta avanti il progetto della Global Britain, facendo di esso il suo vero dogma. Uno scontro tra due vecchie potenze, che in questo momento le vede impegnate, dopo l'Afghanistan, nel Grande Gioco Ucraino.

IL PROTAGONISMO DI LONDRA NELLA CRISI UCRAINA

IL BUCO NELL'ACQUA DEI NEGOZIATI MENTRE PUTIN CONTINUA AD AVANZARE

A cura di Luigi Olita

Il secondo round di colloqui tra Russia ed Ucraina, tenutosi nella giornata del 3 marzo, non ha
raggiunto un risultato concreto. Le due parti hanno affermato dopo la fine dell'incontro che
sarebbe previsto comunque una terza fase di colloqui da tenersi il prima possibile. La sola
intesa raggiunta tra le due delegazioni riguarda le disposizioni congiunte dei corridoi umanitari
per l'evacuazione dei civili e le parti dichiareranno il cessate il fuoco quando ciò accadrà.
Sono notizie di queste ore del bombardamento della centrale nucleare di Zaporozhye, la più
grande d'Europa, la quale sarebbe caduta sotto il controllo delle forze armate russe. Dunque i
combattimenti stanno continuando, anche con forte intensità, ed hanno consentito all'esercito
russo di guadagnare terreno, nonostante la forte resistenza dell'esercito ucraino armato ed
aiutato dagli armamenti britannici ed americani. Proprio in questi ultimi giorni la regione di
Kherson è caduta sotto il controllo delle forze militari russe, assestando un duro colpo a Kiev.
Intanto anche la Bielorussia ha iniziato a mobilitare le sue forze armate, dirette contro l'Ucraina,
e dall'altra parte del mondo, il Venezuela e la Corea del Nord hanno dato il loro sostegno al
presidente Putin riguardo l'operazione militare contro l'Ucraina.
Dunque, nonostante la condanna unanime della comunità internazionale all'aggressione della
Russia all'Ucraina, i nemici storici degli USA si schierano dalla parte della Russia. La Cina,
nonostante la condanna delle sanzioni occidentali alla Russia, ha comunque affermato che è
necessario risolvere la questione tramite gli strumenti diplomatici, come anche richiesto dal
presidente Biden alle stesse autorità di Pechino. È importante sottolineare comunque come in
questi ultimi giorni sia fortemente aumentato il sentimento anti russo in tutto l'arco occidentale,
con la messa all'angolo di testate russe, fino alle competizioni sportive. Dunque un aumento
dell'escalation non solo sul lato militare, ma anche su quello politico e sociale, che vede
comunque la NATO e l'UE sul piede di guerra e determinate a mettere in ginocchio Mosca.
Ovviamente le prese di posizione della NATO e di Bruxelles, seppur legittime per mettere
all'angolo l'arci nemico russo, hanno contribuito in questi anni a fomentare comunque la
situazione, per arrivare poi all'inizio delle ostilità del 24 febbraio. Dunque, non solo le proteste
ed il colpo di stato per destituire Yanukovitch nel 2014, e porre al governo ucraino il filo
europeista ed atlantista Poroshenko, ma un continuo allargamento della NATO che nonostante
la legittimità, non ha per nulla messo in conto le preoccupazioni, anch'esse legittime di Mosca.
Infatti, proprio ultimamente, lo stesso segretario generale della NATO, Stoltenberg, ha affermato
che l'alleanza non aveva mai fatto promesse di non allargamento ai paesi ex sovietici all'ex
URSS e sottolineando comunque una possibile entrata dell'Ucraina all'interno della NATO. La
smentita però, è arrivata proprio dal settimanale tedesco Der Spiegel, che ha riportato un
verbale ritrovato all'interno dei British National Archives riguardo la riunione avvenuta a Bonn il
6 marzo 1991, dei direttori politici dei ministeri degli esteri di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia
e Germania. I colloqui trattarono la sicurezza nell’Europa centrale e orientale e i rapporti con la
futura Russia dopo la dissoluzione dell'URSS, la quale era ormai stata sconfitta dalla potenza a
stelle e strisce e dai suoi alleati amanti della libertà. Ovviamente il pericolo di una reazione da
parte della futura Federazione Russa sarebbe stato comunque concreto nel momento in cui
fossero state messe a punto delle azioni per minare la sua sicurezza.
In ogni caso, i diplomatici alleati anche in presenza dei diplomatici delle due Germanie e della
stessa Unione sovietica, ritennero opportuno non fare avanzare l'alleanza Atlantica oltre l'Oder,
dunque riprendendo ciò che era stato detto da James Baker, segretario di stato di Bush senior
allo stesso Gorbaciov, che durante gli incontri di Malta del 2 e 3 dicembre del 1989, aveva
rassicurato il vecchio leader sovietico che la NATO non avrebbe per nulla intrapreso un
allargamento verso l'Europa orientale.
Dunque una porta chiusa in faccia alla Polonia ed a molti Stati, che però in seguito entrarono a
fare parte dell'Alleanza Atlantica, non tenendo perciò fede ai colloqui degli anni '90.
Un allargamento che è pesato non poco a Mosca, la quale ha più volte chiesto un passo
indietro da parte della NATO e di Washington, ma senza avere un riscontro oggettivo. È
opportuno constatare che nonostante l'azione brutale di Putin contro l'Ucraina e di cui il popolo
è la prima vittima, l'Occidente ha sottovalutato una reazione del genere da parte di Mosca, la
quale per preservare la sua sicurezza ha messo in atto un'aggressione da condannare
fermamente, ma dovrebbe comunque assumersi le proprie responsabilità di fronte ad un tale
atto, fomentato e provocato, senza tenere conto delle conseguenze distruttive che stiamo
vedendo in questi giorni.

IL BUCO NELL'ACQUA DEI NEGOZIATI MENTRE PUTIN CONTINUA AD AVANZARE

PROVACI ANCORA ALIANO

A cura di Lidia Lavecchia

Il Ministero della Cultura ha reso noto che Aliano (MT) è stata selezionata tra le otto finaliste che si contenderanno il titolo di Capitale Italiana del Libro 2022. Una notizia che è motivo di grande soddisfazione a conferma del fermento culturale che la Basilicata vive in questi ultimi tempi. Ma anche e soprattutto alla luce della recente (e cocente) delusione per l’esclusione della stessa qualche giorno fa dalla corsa per il titolo di Capitale Europea della Cultura Italiana per il 2024, su cui non si sono risparmiati commenti al vetriolo da parte di più partiti politici lucani che avrebbero sperato in un più forte sostegno da parte delle istituzioni regionali, così come fu, e non è certo un segreto, per la candidatura, rivelatasi poi vincente, di Matera Capitale Europea della Cultura 2019. E’ forte l’eco delle parole del Capo dello Stato Sergio Mattarella, riconfermato qualche giorno fa, circa l’importanza della cultura: pertanto le Istituzioni sono chiamate, con ancora più urgenza, a mettere a valore l’immenso patrimonio culturale affinché le esperienze passate possano farsi vettori di nuove forme di pensiero. La lettura è portatrice di conoscenza, di storie ed esperienze e concorre all’evoluzione dell’essere umano. 

PROVACI ANCORA ALIANO

TANTO TUONÒ CHE PIOVVE

A cura di Luigi Olita

Il 24 febbraio la situazione è precipitata. L'attacco dell'esercito russo all'Ucraina ha aggravato definitivamente una guerra già iniziata nel 2013 e che ha visto nel 2014 la salita al potere del filo europeista Petro Poroshenko. Dopo il riconoscimento di qualche giorno fa delle due Repubbliche separatiste del Donestk e del Luhansk, Vladimir Putin si è lanciato in un vortice che ha sconvolto l'ordine Mondiale. Una palese violazione del diritto internazionale che sta vedendo caduti sul campo da entrambe le parti, e di cui il popolo ucraino è la prima vittima sacrificale. Una condanna ferma da tutta la NATO e dall'UE, che non si è fatta attendere dopo l'attacco russo, ma che ha radici lontane, cioè dalla dissoluzione dell'URSS. L'attacco russo, secondo molti premeditato, sta procedendo a rilento, sia per la strategia adottata da Putin di non scaricare un'enorme potenza di fuoco sull'Ucraina, sia perché la resistenza attuata dell'esercito ucraino si sta mostrando più dura del previsto. 

Fondamentali questi otto anni di addestramento da parte dei consiglieri militari americani e britannici e soprattutto dei rispettivi corpi di intelligence, che hanno modernizzato l'apparato militare ucraino anche rifornendolo di armamenti sofisticati come i missili Javelin che stanno dando estremo filo da torcere alle truppe corazzate del Cremlino. Anche la Turchia, come membro della NATO e come partner di Kiev, ci ha messo il suo; infatti la vendita di droni Bayraktar TB-2 all'esercito ucraino sta consentendo a Kiev di resistere sotto i colpi del gigante russo. Dopo giorni di intensi combattimenti, che hanno visto comunque la Russia guadagnare terreno e conquistare la maggior parte dei punti strategici dell'Ucraina partendo da est, da sud e da Nord scendendo dalla Bielorussia, il 28 febbraio si sono tenuti proprio in Bielorussia i colloqui tra la delegazione russa e quella ucraina per ottenere un primo cessate il fuoco. All'incontro, svoltosi nel pomeriggio in un territorio non neutrale come richiesto inizialmente dal governo ucraino, hanno partecipato per quest'ultima il capo dell'ufficio di Zelensky, il capogruppo del partito, il vice ministro degli esteri ed il ministro della difesa. La controparte russa era invece rappresentata da un corpo diplomatico comprendente anche un ex ministro della cultura del governo Medvedev. Alla conclusione degli incontri, le delegazioni sono tornate nei rispettivi Paesi per consultazioni e potrebbero reincontrarsi tra un paio di giorni per un secondo giro di consultazioni. 

La delegazione del Cremlino è stata categorica sulle tre richieste presentate alla controparte ucraina, chiedendo lo status di neutralità dell'Ucraina, il riconoscimento della sovranità russa sulla Crimea e la demilitarizzazione e la de nazificazione della Nazione ucraina. Richieste che su due piedi potrebbero non promettere nulla di buono, ma al secondo appuntamento di consultazioni si dovrebbe avere un possibile responso. Intanto il presidente ucraino Zelensky, il quale si sta costruendo una certa fama di eroe nazionale in patria per la sua costante resistenza verso i bombardamenti russi, e per la sua presenza nella capitale vicino al suo popolo, ha firmato poche ore fa la richiesta di entrata all'interno dell'UE. Richiesta però rigettata dalle autorità di Bruxelles, che per voce dell'Alto rappresentante per la politica estera hanno affermato che la questione non è in agenda per il momento. Sono ore durissime, ed il pensiero va soprattutto al popolo ucraino, sottoposto al terrore delle bombe e di politiche scellerate adottate da entrambe le parti. Nessuno è escluso in questa vicenda, sia l'attaccante che sta muovendo guerra, sia la controparte Atlantica, che avrebbe dovuto fare un passo indietro per evitare di svegliare l'orso russo. In queste ore concitate, dove i partner Atlantici ed Europei si sono organizzati per mettere in ginocchio la Russia con pacchetti di sanzioni "mai viste prima", da Parigi, il presidente Macron sta cercando di monitorare la situazione cercando di dialogare con il suo omologo russo. L'arte diplomatica di Macron sarà l'asso nella manica della comunità internazionale?

TANTO TUONÒ CHE PIOVVE

LA POLVERIERA UCRAINA METTE IN ALLARME ANCHE ORBAN

A cura di Luigi Olita 

Dopo la visita del presidente della Repubblica islamica dell'Iran, Raisi, a Mosca, il presidente russo Vladimir Putin ha incontrato pochi giorni fa anche il primo ministro ungherese Viktor Orban. Settimane importanti per il Capo del Cremlino, il quale viene ricercato da numerosi leader mondiali sia per il dossier Ucraina, sia per la sua influenza politica come perno delle relazioni internazionali. Viktor Orban, infatti, è solo uno dei numerosi politici che incontreranno Putin questo periodo, poiché il presidente russo incontrerà in questi giorni il suo omologo cinese Xi Jinping in occasione delle Olimpiadi invernali di Pechino.

La visita del primo ministro ungherese a Mosca ha destato irritazione all'interno dell'UE che ha criticato Orban per la sua presa di posizione pro Cremlino con l'obiettivo di ammorbidire la diatriba ucraina che secondo fonti euro atlantiche potrebbe scoppiare da un momento all'altro. Anche la Polonia, stretta alleata di Budapest, ha criticato la visita di Orban a Mosca. L'incontro tra Putin ed Orban è stato caratterizzato non solo da rassicurazioni da parte del Cremlino riguardo le forniture di gas dal colosso Gazprom a Budapest, ma soprattutto dal dossier Ucraina. Infatti, Orban, pur attirandosi numerose critiche da parte della maggior parte della destra europea per la sua attività diplomatica da "cane sciolto", lo ha fatto anche in virtù di essere stato uno dei primi acquirenti del vaccino Sputnik russo. 

Dunque un legame tra Budapest e Mosca stretto nell'ultimo anno anche grazie alla diplomazia vaccinale messa in campo da Putin, e che ha permesso al primo ministro ungherese di accreditarsi come leader politico di fiducia nei confronti di Putin. Si potrebbe parlare di una vera e propria diplomazia parallela messa in piedi da Orban anche per scongiurare una guerra, ventilata da più parti negli ambienti militari Nato che puntano continuamente il dito verso la Russia per una imminente invasione dell'Ucraina, smentita ovviamente dal Cremlino, sia per avere in Putin un possibile scudo verso le prese di posizione europee ed Atlantiche liberal con la nuova presidenza Biden, che hanno osteggiato con ancora più vigore le politiche conservatrici del primo ministro ungherese. Orban per infondere ancora più fiducia in Mosca, durante i colloqui ha fatto trapelare la sua contrarietà verso una possibile entrata dell'Ucraina all'interno dell'Alleanza Atlantica e soprattutto la sua opposizione alla partecipazione dell'Ucraina alla difesa informatica della NATO. Una presa di posizione che sarà oggetto di polemiche sia a Bruxelles che a Washington, ma che contraddistingue ancora una volta la politica estera da vera mina vagante della piccola Ungheria.

LA POLVERIERA UCRAINA METTE IN ALLARME ANCHE ORBAN

PUTIN HA SCELTO LA GUERRA - INVADE L’UCRAINA

di Flavia Adamo

Dopo due anni che hanno visto l’intero mondo interessato da una pandemia che ancora non ha fine, il risveglio di questa mattina è lo scenario più drammatico che si potesse immaginare. Un’ora prima dell’alba di questo giovedì 24 febbraio, Vladimir Putin ha dichiarato guerra all’Ucraina. 

Un avvertimento è stato poi rivolto anche al resto del mondo: «Ho qualche parola per chi fosse tentato di interferire con quanto sta succedendo: chiunque cerchi di ostacolarci, o peggio di minacciare il nostro Paese e la nostra gente, sappia che la risposta russa sarà immediata e porterà a conseguenze che non avete mai visto nella storia. Siamo pronti per ogni sviluppo, tutte le decisioni necessarie sono state prese. Spero di essere ascoltato». Queste le parole del Presidente della Federazione Russa quasi in contemporanea con il primo allarme proveniente da Kiev, dove sono state sentite cinque grosse esplosioni. 

PUTIN HA SCELTO LA GUERRA - INVADE L’UCRAINA

RAISI ALLA CORTE DELLO ZAR

A cura di Luigi Olita 

La visita tenutasi dal presidente iraniano Ebrahim Raisi a Mosca il 19 gennaio, ha inaugurato una nuova fase sempre più stretta dei rapporti tra Teheran e Mosca. Ultima e non meno importante della visita di Raisi al Cremlino è stata proprio l'entrata dell'Iran all'interno della Shangai Cooperation Organization a settembre del 2021. L'incontro tra Raisi ed il governo russo vede dunque una svolta anche per quanto riguarda gli assetti geopolitici in Medioriente dal punto di vista della Russia. Ciò è stato possibile sia per l'affidabilità da parte di Putin nei confronti di Teheran, sia per il decisionismo diplomatico del nuovo presidente iraniano che, affiancato dal nuovo ministro degli esteri Abdollayan, si sta distinguendo rispetto ai predecessori moderati Rohani e zarif.

Il presidente iraniano ha affermato che i rapporti tra Russia ed Iran sono “forti, indipendenti e influenti” nella regione, ribadendo che i due Paesi si stanno impegnando nel rafforzamento dei rapporti bilaterali dal punto di vista della sicurezza e del commercio attraverso un costante dialogo. I legami bilaterali tra Mosca e Teheran, come affermato da Raisi, saranno destinati a crescere e rafforzarsi, coinvolgendo soprattutto la cooperazione economica e la sicurezza strategica e di intelligence per la stabilità della regione Mediorientale. La cooperazione tra i due Paesi per contrastare il terrorismo islamico da una parte e le mire egemoniche della NATO dall'altra, sono fondamentali per spiegare il riavvicinamento tra i due Paesi che in precedenza era stato ostacolato dalle fazioni filo americane presenti in Russia comprendendo anche una parte degli oligarchi ostili a Putin, che in ogni modo hanno sabotato lo sviluppo del partenariato russo-iraniano, principalmente nel campo dell'economia e della finanza. 

 

In Iran, con la sconfitta dei moderati alle elezioni, la fazione conservatrice ha preso il potere ripristinando la linea originale della rivoluzione iraniana. Con il timore di possibili escalation di guerra alle porte dell'Europa tra Mosca e Kiev, e con le maggiori potenze della NATO continuamente impegnate a rifornire di armi l'esercito ucraino, la necessità del Cremlino è quella di intavolare una catena di alleanze per non rimanere circondata dalla potenza militare della NATO. Questo supporto, oltre che dalla Bielorussia e dalla Cina, Putin lo trova senza problemi proprio a Teheran, fondamentale per la Russia come principale alleato all'interno del mondo islamico. Quest'ultimo, un mondo dominato negli ultimi vent'anni dall'influenza statunitense, che però ha perso pezzi soprattutto dopo la fuga del 15 agosto scorso dall'Afghanistan. In un Medioriente dilaniato da un ventennio di guerre firmate "White House", la presenza del Cremlino rassicura in parte il futuro. Ciò anche per l'asse creato con la Cina mediante la diplomazia di stampo sanitario, ma che allo stesso tempo viene portata avanti grazie ad un Soft Power apprezzato molto, soprattutto nei palazzi governativi di Teheran.

RAISI ALLA CORTE DELLO ZAR

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